L’adolescenza “interrotta” ai tempi del Covid-19

Il Lock down ha imposto un sacrificio importante ai nostri adolescenti, che hanno dovuto fare delle rinunce non da poco, come quella alla libertà.

La parola adolescenza deriva dal latino “Adolescere” ovvero crescere. È una fase di transizione della vita che ad oggi si prolunga molto negli anni, poiché i tempi previsti per raggiungere un’indipendenza sia affettiva che economica dalle famiglie, nella società odierna si sono molto dilatati. Dunque due sono a grandi linee i compiti evolutivi di questa fase di ponte dalla vita adulta: trovare sé stesso, iniziare a definire la propria identità, riconoscendo di appartenere ad una determinata famiglia e contesto sociale; dall’altra uscire fuori di casa, esplorare nuove realtà, sperimentarsi in nuove relazioni anche affettive per creare il proprio spazio nel mondo. L’adolescenza è il tempo non solo della sfida ai limiti e alle regole come molti potrebbero credere, bensì è il tempo della paura e dell’insicurezza, e dell’ambivalenza tra il ricercare e il pretendere la propria indipendenza ed il bisogno di dipendere dalla famiglia.

Il Lock down ha imposto un sacrificio importante ai nostri adolescenti, che hanno dovuto fare delle rinunce non da poco, come quella “alla libertà”, al tempo libero trascorso con gli amici, alla scuola intesa come relazioni sociali contenitive. Per alcuni queste non sono state deprivazioni che non hanno lasciato il segno; poiché per alcuni ragazzi il gruppo dei pari e la scuola sono risorse compensative enormi laddove ci sono problematiche e disagi all’interno della famiglia a cui si appartiene. La didattica on line ha svuotato l’apprendimento degli alunni di quel rapporto empatico umano fondamentale per poter consentire la motivazione, l’interesse all’apprendimento e alla cultura e per poter cogliere limiti e risorse. Il corpo, protagonista indiscusso di tante trasformazioni proprie di questa fase evolutiva, costituisce un veicolo fondamentale per la crescita dei nostri ragazzi, e che, purtroppo, con la didattica a distanza viene meno unitamente a tutte le emozioni che di cui si fa portavoce.

Pensando sempre alla scuola, molti ragazzi hanno perso quella ritualità di passaggio che rappresenta l’esame di maturità. Un rito di passaggio ad una fase nuova della vita, che per alcuni rappresenta l’entrata all’università, o l’entrata nel mondo del lavoro. Molti ragazzi scelgono di trasferirsi in un’altra città, di allontanarsi dalla famiglia.

Ogni cambiamento implica una perdita, ogni passaggio da una fase all’altra è carico di incertezze, di rischi rispetto agli esiti e comporta dolore. I riti servono proprio a rendere più gestibili e possibili i cambiamenti.
La maturità chiude la fase della scuola dell’obbligo ed apre la fase del libero arbitro, della scelta secondo le proprie possibilità ed inclinazioni.

“Quanto viene tutelata la libera scelta nel nostro paese?” ma soprattutto restando in materia di COVID; “Quanto le conseguenze sull’economia, sul lavoro hanno leso la progettualità dei nostri adolescenti che si apprestano a salpare verso il mondo dell’università e del lavoro?”
L’ansia vissuta dagli adolescenti che si rivolgono al nostro servizio è tanta e viene alimentata dall’incertezza causata dal momento di blocco e di lenta ripresa che stiamo vivendo, sommandosi ad una fisiologica precarietà propria di questa fase evolutiva. Incertezza che si somma all’incertezza.

“Come possiamo aiutare questi ragazzi che sono il futuro del nostro paese?”

“Come possiamo far si che non perdano la rotta, la speranza e la creatività in un periodo contraddistinto dalla perdita e dalla paura?”
Il consiglio che sentiamo di dare ai genitori è di incoraggiare i movimenti verso l’autonomia dei ragazzi, e condividere le paure e le emozioni negative attraverso lo scambio autentico delle emozioni. Spesso i genitori con cui i siamo interfacciati, si lamentano delle difficoltà comunicative che hanno con i loro figli; si descrivono come dei genitori disponibili ad ascoltare ed a parlare con i figli ma dimenticano che parlare non significa fare il terzo grado ai figli quando rincasano dalla passeggiata con gli amici. Sarebbe più funzionale chiedersi, invece, quanto da genitori siamo realmente abituati a condividere i problemi e le emozioni in famiglia e a cercarne insieme una soluzione con spirito di gruppo; o quanto i figli si sentano in dovere di non parlare, di non condividere i loro problemi, per proteggere la famiglia ed i genitori che sono già in crisi ed in difficoltà. In molte famiglie vige la regola che “i panni sporchi si lavano in casa” o che il dolore individuale ed i problemi bisogna risolverseli da soli. Sono proprio queste regole che adesso più che mai, andrebbero messe in discussione, perché il dolore se condiviso può trasformarsi in risorsa, in forza rinnovata di gruppo.
Chiedere aiuto per un figlio, significa inevitabilmente chiedere aiuto per sé stessi, per la propria coppia ed in genere per la propria famiglia; è questo che ogni genitore dovrebbe ricordare.
Questo periodo ha permesso ai figli e ai genitori di guardarsi più da vicino, di scoprire di più gli uni degli altri. In molte famiglie questo è stato un tempo per ritrovarsi, per fermare la freneticità delle vite e non essere più estranei sotto lo stesso tetto; per molti di loro sarà questa appartenenza ritrovata e rinforzata la forza propulsiva per vincere le paure ed affrontare le frustrazioni della vita che verrà.


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